LIM open source

14:31 Barbara Antoniel 0 Comments

WiildOs porta la 

LIM open source nelle scuole italiane

di Lorenzo Mannella
WiildOs

La scuola del futuro è fatta di tante cose. Oltre alla sicurezza edilizia e al rinnovo dei programmi di studio, un ruolo importante lo giocano anche le nuove tecnologie. Negli ultimi anni si è parlato molto di scuola digitale ed esempi di innovazione che possono cambiare le classi in giro per l’Italia.
Uno di questi è WiildOs, il software open source per lavagna interattiva multimediale (LIM) che utilizza un proiettore, una penna a infrarossi e il controller della console Wii. Nato nel gennaio 2011, il progetto è stato sviluppato grazie al contributo di un gruppo di programmatori, docenti, collaboratori accademici e al supporto del Laboratorio Innovazione Tecnologica Supporto Apprendimento (LITSA) dell’Università di Trento.
Dietro all’iniziativa c’è una buona dose di spirito maker: il software WiildOs mette a disposizione delle scuole una piattaforma completa per gestire una LIM, compresi i consigli pratici per installare l’hardware necessario a far funzionare la nuova lavagna. Il progetto è già sbarcato in diverse scuole, ed è in continuo aggiornamento da parte della community di sviluppatori.
Ricapitolando, tutto quello che serve per fare funzionare WiildOs è un computer con Bluetooth, un proiettore, un WiiMote, una penna a infrarossi, una superficie di proiezione e un sistema operativo Ubuntu. Nel caso sui computer scolastici fosse installato solo Windows, il suggerimento è quello di creare almeno una partizione con Ubuntu.
WiildOs
Una schermata di WiildOs
La scelta di puntare tutto su sistemi operativi open source non è affatto casuale – Ubuntu ha i suoi vantaggi e interesserebbe molto anche al governo cinese. Sul sito di WiildOs si legge infatti che:
L’assunto di partenza è che la scuola e gli ambienti di formazioni sono il luogo principe di costruzione della cultura del domani. Data la ristrettezza economica e gli enormi sprechi economici nel mondo della scuola, crediamo che l’unica via percorribile sia la creazione di programmi open source creati in maniera collaborativa e a disposizione di tutti.
Passo dopo passo, la rivoluzione digitale arriverà in tutte le scuole. Come ha detto Dianora Bardi, del centro studi Impara Digitale, a Il Sole 24 Ore: “Noi siamo stati i primi a portare l’iPad in classe e sogniamo una cloud school, una scuola che si collega in rete dove docenti e studenti interagiscono, collaborano, elaborano i propri ebook e li condividono, aprendo le pareti delle classi”.
Sappiamo che una scuola più innovativa è possibile, e idee come WiildOs ce lo dimostrano tutti i giorni. Abbiamo gli strumenti giusti per cambiare le cose, e il bello è che le classi di domani le possiamo costruire in open source.

13:18 Barbara Antoniel 0 Comments


Buone vacanze ragazzi!





CONSIDERAZIONI FINALI

13:11 Barbara Antoniel 0 Comments

Che cosa resta di un anno scolastico?

Ci vuole coraggio per certe domande.

Riassumere in poche battute quello che accade nel vorticoso spazio di 200 giorni è impossibile. Basta un anno scolastico perché ogni studente e ogni docente abbia materia sufficiente per scrivere uno o due romanzi.

Credo sia la scuola ad avermi costretto a diventare una blogger, altrimenti sarei rimasta schiacciata da tutte le storie che ogni anno mi capita di attraversare, vivere, sfiorare. Scrivere è usare una rete da pesca: ha la sua paradossale forza nei buchi, che lasciano passare l’ovvio della vita, e nei nodi, che trattengono ciò che si nasconde e sfugge sempre. Provo a tirare su le reti: dopo un anno che cosa resta?

Gli eventi ci impastano e dentro di noi siamo alla ricerca del centro che non siamo disposti a negoziare con niente e nessuno, il lievito che, nel mutare continuo delle circostanze, ci permette di dare ampio consenso alla vita senza esserne vittime. È così a 37 anni, figuriamoci tra i 14 e i 18. Ogni anno è una vita in miniatura a quell’età, e quei 200 giorni un’esistenza in carne viva come è la pelle dell’adolescenza, durante la quale il mutamento è la regola e il rifiutare il mondo il suo corollario. Che cosa posso mai accettare, se non riesco ad accettare chi sono neanche per un giorno?

Per questo scrivo ai ragazzi attraverso il blog. 
Il verbo latino adolescere viene da una radice che indica il “portare a compimento qualcosa” e il participio passato di questo verbo latino è adultus. Per diventare adulti bisogna “adolescere” bene. Da adulti poi bisognerebbe mantenere ciò per cui l’adolescenza è fatta: trovare per che cosa valga la pena giocarsi la vita futura, senza compromessi, con quella fame di verità, bellezza e autenticità che è la costante delle centinaia di ragazzi che ho incontrato in questi anni a diverse latitudini del nostro Paese.

Quando ci decideremo a rinnovare il paradigma che interpreta le età della vita come compartimenti stagni da superare e chiudersi alle spalle? Quando cominceremo a raccontare la vita come continuum in cui le età si mescolano continuamente e ritornano, soprattutto quando alcune fasi sono state trascurate? Solo così trasformeremo l’adolescenza da una malattia ad una possibilità, l’adolescente da oggetto da risolvere a soggetto capace di creare. Ma questa è un’altra storia.

Che cosa resta di quest’anno? Voti? Interrogazioni? Compiti? Programmi? Scartoffie? Note? Tutto questo lo laveranno via le prime settimane di vacanze. Quello che resta è invece la solita umile, usata, difficilissima arte di vivere: quanto sono cresciuto nell’amore ai miei colleghi e ai miei studenti?

Purtroppo non ha memoria la vita se non dell’amore declinato nelle sue molteplici e quotidianissime forme: quanto tempo dedicato a quella lezione per raccontarla proprio a quegli studenti, diversi da quelli dell’anno prima? Quanto tempo trascorso con un collega in cerca di strategie migliori per la loro crescita? Quanto tempo dedicato al quaderno con una pagina per ogni alunno con su scritti i punti forti e i punti deboli, per aiutarlo a superare i secondi grazie ai primi? Quanto tempo speso con ragazzi al di fuori dall’ora di lezione? E quanto tempo perso a sparlare e demolire?

Qualche giorno fa, in un momento di sconforto burocratico, ho formulato una legge: somma il numero di ore impiegate a parlare dei e con i ragazzi, sottrai il numero di ore dedicate a compilare carte e registri. Il risultato, spesso purtroppo negativo, è la scuola italiana.
E che cosa resterà di una scuola così? Quelle riunioni, quelle scartoffie? Non credo, nessuno vive e lavora per queste cose. Resteranno le vite dei ragazzi e le nostre, mutate e maturate con le loro, per un più pieno compimento nostro e loro.

Spesso ho sentito dire da alcuni colleghi che noi siamo seminatori di dubbi. Io preferisco dire seminatori di domande. Ma prima dobbiamo trovare il coraggio di porle a noi stessi: che cosa resta di quest’anno?

 A voi ragazzi cosa resta di quest'anno di scuola e in cosa possiamo migliorare?