Il mistero dietro il mito di Sic
01/12/12
Il mistero dietro il mito di Sic
Per sentire il polso di una civiltà bisogna tastare come affronta la morte e prova a redimersene.
I Greci antichi provarono a spezzare il pungiglione alla morte trasformando la vita di un uomo in ricordo: la sua tomba o il suo essere narrato.
I Greci antichi provarono a spezzare il pungiglione alla morte trasformando la vita di un uomo in ricordo: la sua tomba o il suo essere narrato.
Aristocraticamente la morte era
sopportabile e vinta solo per pochi eletti, quelli capaci di morire
eroicamente e meritarsi una pietra più dura della pietrificazione della
morte. L’alternativa era entrare nell’oblio assoluto. Non essendoci
nulla di buono dopo la morte, l’unica forma di vita-dopo-morte era
essere posti a fondamento della società, diventandone mito. Ma lo stesso
Achille morto si dichiarerà sconfitto nel faccia a faccia con Ulisse in
visita nell’aldilà: preferirebbe essere l’ultimo dei servi da vivo che
il primo nel regno delle ombre. Lui che nel poema della consacrazione
eroica, aveva scelto in dono dagli dei una vita breve ma gloriosa,
piuttosto che lunga ma nascosta. Anche il mito vacilla sul ponte che
unisce aldiqua e aldilà. Iliade e Odissea sono
costruite sul ricordo di pochi grandi, che però sottovoce ammettono il
fallimento, almeno per il morto stesso, di quella soluzione nobile e
aristocratica.
Poi la morte diventò più democratica col
cristianesimo. Il pungiglione non veniva spezzato solo per pochi, ma
per tutti quelli che volevano. Non era questione di essere eroi agli
occhi della società, ma agli occhi di Dio, che scruta il cuore
dell’uomo. Non era più necessario conquistare Troia e magari morirne,
per diventare eroe. Lo era anche chi rimaneva a casa. Il quotidiano
venne improvvisamente illuminato in ogni suo angolo, perché la morte non
aveva l’ultima parola, e il gesto eterno non era più solo quello eroico
e coraggioso, ma quello fatto con amore, spesso eroico e coraggioso,
proprio perché quotidiano come la carne di un Dio che sembra vivere e
morire come vivono e muoiono gli uomini, ma poi torna dalle tenebre
della morte, a dire, ribaltando Achille, che l’ultimo dei servi di qua è
il primo dall’altra parte.
E oggi cosa accade nella nostra cultura post-moderna?
Ad un anno dalla morte di Simoncelli
ricordo ancora il silenzio dei miei ragazzi il giorno dopo l’accaduto.
Parlavano a bassa voce come in un luogo sacro, eppure era la stessa
grigia classe di sempre. Era il silenzio di chi parla di una morte senza
senso, perché la sua direzione, il suo traguardo, si era spezzato
proprio sulla strada che ne doveva essere il compimento. Una promessa
interrotta sul campo di battaglia. Un destino tradito. E che cosa teme
un ragazzo più di questo?
Eppure, paradossalmente, la morte di
Simoncelli non ha paralizzato, ma ha dato vita a moltissimi, suonando
senza sosta la campana, perché ogni vivo non è un’isola, ma il pezzo di
un continente. Lo dimostra la sua foto usata da molti ragazzi al posto
della loro sul proprio profilo nei social network, punta dell’iceberg di
molte altre iniziative.
Ha qualcosa degli antichi Greci questo
ricordo rituale e virtuale che prova a strappare alla morte un giovane,
scomparso quando ancora era una promessa. Ha qualcosa di antico questo
«cuore collettivo» che la rete ha creato. Non a caso la nostra epoca
viene definita di «oralità secondaria», un ritorno alla società orale di
Omero, in cui il racconto occupava la coscienza individuale creandone
una collettiva, in una sorta di metafisica fantastica, sopravvissuta nei
bambini che ascoltano le favole. La nostra oralità non è però verbale,
ma digitale, fatta com’è di immagini digitali. Quelle della morte di
Simoncelli in diretta, quelle di lui sorridente con le braccia aperte e
la chioma al vento come il Centauro di un mito post-moderno.
Qualcosa dentro la rete, qualcosa dentro
questo «cuore collettivo e digitale» non vuole lasciare andare
Simoncelli, come facevano gli antichi con la loro poesia eroica e le
loro tombe. E quella memoria, ieri come oggi, faceva da collante e da
paradigma sociale: ieri di un eroismo aristocratico da imitare, oggi di
qualcosa di diverso. Di che cosa mi chiedo.
Forse della paura che la vita sia una
promessa che si interrompe, un’illusione che la morte spazzerà via
quando meno te lo aspetti, anzi forse proprio perché non te l’aspetti.
L’emozione collettiva crea un talismano per allontanare, almeno
allontanare, il pungiglione della morte. La memoria sociale testimonia
il desiderio di eternità e la ribellione contro una vita dal copione
tragico. In un ritorno aristocratico, il caso unico o raro di pochi
aggrega una società senza verità condivise, che alla ripetizione rituale
e virtuale del ricordo si abbarbica. La morte ordinaria, silenziosa e
democratica, quella del vicino di casa, l’abbiamo rimossa, nascosta,
obliata. Per questo, soprattutto i giovani, non possono fare a meno di
creare memoria e senso, cioè un codice culturale, attorno a una morte
«eccezionale», che poi di eccezionale – a rifletterci – non ha nulla, se
non la sfortuna. Un codice culturale che crea senso e memoria
sull’emozione, per quanto possa sembrare paradossale.
Un poeta purtroppo troppo poco
conosciuto in Italia scrisse una poesia attorno ad un suo amico morto
sotto i suoi occhi: «Se lui si fosse mutato in pietra / in una pesante
statua di marmo / indifferente e dignitosa / che sollievo sarebbe
stato». Non vuole vederlo precipitare nel nulla e preferirebbe
pietrificarlo nel freddo marmoreo di una statua. «Sic» non è un mito dei
morti, ma un mito dei vivi, necessario ad avere un po’ di quel
sollievo. Perpetuarne l’emozione in una sorta di pietrificazione
digitale lenisce la sete di eternità. O la rinvia a data da definire.
«Sic», come l’amico morto del poeta, ci interpella, con il suo «piccolo
fagotto di ruvido mistero» (Z. Herbert, Il Signor Cogito). Il
mistero chiuso in un fagotto interroga inesorabile la «mente collettiva»
nascosta e confusa dietro al «cuore collettivo»: basterà pietrificare
l’emozione e perpetuarla, basterà un talismano digitale, basterà un mito
tragico e socializzato dalla rete a spezzare il pungiglione della
morte?